Renzi a Ragusa, quello che (non) ho capito rimanendo quattro ore al Teatro Tenda

Renzi a Ragusa, quello che (non) ho capito rimanendo quattro ore al Teatro Tenda

Ero al ristorante con il mio ragazzo, mia cognata, suo marito e altri amici quando Nello Dipasquale, sulla sua pagina Facebook pubblica un post col faccione del Premier: “Vi annuncio che Martedì 15 novembre Matteo Renzi sarà a Ragusa. L’incontro si svolgerà presso il teatro Tenda alle ore 18.00”.

Dovevamo ancora ordinare, quindi la cena fortunatamente non mi è andata di traverso, non per una questione preminentemente  politica ma perché so bene quel che un annuncio del genere provoca a livello mediatico e social-mediatico.

Finisco la mia cena bevendo del buon vino, torno a casa e mi metto a letto. Il giorno dopo mi sveglio, è domenica e Facebook mi riporta in un attimo alla realtà: “Questo buffone maledetto! Glielo rimandiamo a calci a Roma!”; “Prepariamo uova marce e pomodori!”; “Dobbiamo protestare, mette piede in Sicilia solo per venire a cercare voti!” e altre decine e decine di reazioni virtuali, più o meno colorite, alla notizia dell’arrivo di  Mr. President a Ragusa Town. In mezzo a queste, anche post e commenti maggiormente “pensati” che spesso fa piacere leggere perché restituiscono un senso di democratico confronto.

Insomma, pian piano passano tre giorni, l’atmosfera non è cambiata nel frattempo. I convinti renziani del sì al referendum si scontrano, post dopo post, con i convinti del no, e coi convinti del “contro la classe politica a tutti i costi”.

Ringraziando gli astri, finalmente è martedì. Non sono ancora le 17.15 ma io sospendo tutto quello che stavo facendo e vado. Strada, Polizia, Carabinieri, transenne, camioncino della Polizia, volanti, altri Carabinieri, Vigili del Fuoco, Protezione Civile, Digos. Va bene, suppongo sia normale. È ancora presto, l’inizio del comizio/conferenza è previsto per le 18.00 ma c’è già del movimento: si entra da uno dei cancelli laterali, un carabiniere molto alto mi guarda, non dice nulla, lo guardo, non gli dico nulla e insieme ad altre persone proviamo ad entrare.

– “Dove state andando?” chiede il carabiniere alto.
– “Entriamo” risponde un uomo sulla quarantina accanto a me.
– “Non potete entrare”
-“Come non possiamo entrare? Ma non è a ingresso libero? Ma che si paga?”
– “Io non capisco chi ha messo in giro queste voci, l’ingresso è libero” esclama il consigliere del PD di Ragusa Mario Chiavola, che come noi si trovava lì per cercare di oltrepassare l’ostacolo.

Io silenziosamente ascolto e osservo mentre il militare dell’Arma ci invita a calmarci e ad attendere. Ma, onestamente, eravamo già calmi. È che pioveva abbastanza e magari non ci si voleva bagnare più di tanto.
Ad un tratto però spunta uno che aveva un distintivo bello grosso attaccato al petto che con un bel sorrisone esclama: “Scusate, c’è stato un qui pro quo. Accomodatevi pure!”.

Rimango perplessa un momento. Ignoro il tutto e passo il benedetto cancello. Mi guardo intorno, faccio un giro veloce intorno al tendone bianco del teatro e niente, aria di protesta qua non ce n’è proprio. Tutto tranquillo. A parte il qui pro quo s’intende.

Senza scoraggiarmi mi avvio allora all’entrata vera  e propria: altri controlli. Mi fanno cenno di avviarmi verso la donna Carabiniere:
– “Signorina, si levi il cappuccio” mi ordina
– “Sì ha ragione, è che sta piovendo”
– “Non importa, non può entrare a volto coperto”
– “Non ne avevo l’intenzione”
Comincia a perquisirmi, mi passa addosso un aggeggio che non reagisce, mi fa svuotare le tasche, mi fa aprire la borsa e poi arriva alla tracolla della fotocamera. Le mostro pure quella, poi mi fa tirare fuori la Canon e tenta di smontare l’obiettivo:
– “Ma non serve – le dico – sono qua per scrivere un pezzo per un quotidiano e fare qualche foto, non ho cattive intenzioni”
Mi ignora. Finisce di fare il suo dovere e mi restituisce tutto dicendomi “A me non interessa che è della stampa”.

Va benissimo così. Finalmente entro. Oltrepasso un banchetto dove scorgo qualcuno dei Giovani Democratici di Ragusa e davanti ai miei occhi vedo solo una distesa di sedili blu su ognuno dei quali è appoggiata una brochure di qualche pagina in cui viene spiegato il 4 dicembre secondo il PD.

Ancora non c’è moltissima gente, ma quelli che ci sono corrono a destra e sinistra. Io passeggio qua e là per capire se c’è qualcuno d’interessante con cui fare quattro chiacchiere. Sono circa le 18.00 e da quasi venti minuti in loop, a tutto volume, si sente solo “The sweet escape” di Gwen Stefany, “La dolce fuga”. Fingo di non interpretarlo come un messaggio subliminale e continuo la mia ispezione in attesa di Matteo.

Scatto qualche foto. Mi annoio. È già la decima volta che Gwen Stefany canta la stessa canzone. Mi alzo, faccio capolino fuori per vedere che situazione c’è, di proteste o manifestazioni di dissenso neanche l’ombra.
Rientro  e mi siedo in uno dei posti liberi, non troppo lontano dal palco.

Comincio a scorgere volti noti della politica locale, vedo i pezzi grossi dell’Asp e con un po’ di sorpresa addirittura il Sindaco di Pozzallo che giusto quest’estate aveva dichiarato “Non farò entrare al Palazzo di città Renzi e Alfano”. Ammatuna si era imbufalito col Governo perché si sentiva abbandonato sulla questione immigrazione e per il dietrofront sulla festa dell’Unità Nazionale poi fatta a Catania. Però si sa, certe delusioni si dimenticano più in fretta di altre.

Mentre inizia ad arrivare molta gente mi accorgo di essermi seduta esattamente dietro a delle persone che tengono in mano una bandiera del PD su cui sopra è scritto “Basta un sì”. Mi dico che è impossibile che ci siano solo persone che sanno già che voteranno come Renzi vuole. Ci sarà qualcuno che è qui perché non sa ancora cosa votare, non sa di cosa si stia parlando o è qua perche è contro il referendum, contro il PD, contro il Presidente del Consiglio, contro il mondo, ma vuole ascoltare con le sue orecchie. Nel frattempo qualche buon uomo ha cambiato playlist, rimanendo sullo stile Hit Mania Dance 2009, ma è già qualcosa dopo un’ora della stessa canzone.

All’improvviso un viso amico: Biagio Taranto, segretario cittadino del PD di Comiso, una persona che stimo e che rispetto e a cui decido di fare qualche domanda: “Se io fossi indecisa su cosa votare, cosa mi diresti per convincermi a mettere la croce sul sì?” gli chiedo. Mi spiega che questa non è la riforma delle riforme e che ci sarebbero punti da migliorare, ma che al momento è una valida opportunità per il nostro Paese, immobile da oltre 30 anni. Votando no rischiamo di rimanere fermi dove siamo, al contrario invece potremmo iniziare a muovere i primi passi verso un futuro diverso. Biagio è onesto. Gli prometto che parleremo presto in maniera più approfondita. Ci salutiamo e inizio di nuovo il mio giro.

Ad un certo punto vedo un gruppo di persone vestite completamente di rosso, sono della Tim: cosa ci fanno qui? Mi avvicino a una di loro e iniziamo a parlare. La signora Adele Donzella, segretario UGL Ragusa-Siracusa mi racconta della situazione che lei, insieme a numerosi suoi colleghi, stanno vivendo da qualche anno. Nel 2013 il vecchio management ha dichiarato una situazioni di crisi dell’azienda e da allora sono 9mila i dipendenti a rischio licenziamento. Contratti di solidarietà che somigliano tanto alla cassa integrazione, decurtazione di salari già bassi mentre in alto si parla di liquidazioni milionarie: “Siamo oggi qui per chiedere a Renzi una tutela e un interessamento fattivo e duraturo. Non è possibile svendere così la principale azienda di telecomunicazioni italiana insieme a tutti i suoi lavoratori!”.

Questa è la prima voce di dissenso che sento. Sono le 20.00, due ore di ritardo mi sembrano parecchie, persino per un Presidente del Consiglio. Torno al mio posto e vicino a me sono sedute due persone con le quali inizio un’interessante conversazione sulla politica, loro fanno parte degli indecisi e insoddisfatti, e anche un po’ arrabbiati. Soprattutto uno dei due, un professore che insegna economia aziendale a Modica. Mi parla delle bugie che secondo lui Renzi sta raccontando su questo referendum mentre con l’amico che è con lui, ex consigliere comunale di Ispica, discutiamo di stipendi troppo alti dei parlamentari, di Movimento5stelle, del Consorzio di Bonifica e della politica che invece di essere a servizio del cittadino, lo abbandona.

È tardi, inizio  a stancarmi. Sul palco una ragazza invita tutte le persone sul corridoio di destra a spostarsi perché altrimenti, per ragioni di sicurezza, non è possibile far iniziare il comizio. Lo fa una seconda volta. Il terzo richiamo arriva da Nello Dipasquale.

Il Teatro Tenda è pieno. La gente è ovunque anche se molti sono andati via perché quasi tre ore di ritardo sono decisamente eccessive. Poi, ad un certo punto, eccolo sobbalzare sul palco il giovane Presidente accolto da iniziali fischi di protesta: indica il suo orologio per dire “So di essere schifosamente in ritardo” e dopo le ovvie scuse per essersi fatto attendere, inizia lo show.

I temi trattati da Matteo Renzi ieri sera li potete trovare su qualsiasi testata locale e non. Prima di entrare nel merito della riforma, il premier  ha parlato di viabilità: “Già l’anno prossimo l’importante che ci si metta meno a fare la Ragusa-Catania”. Fa riferimenti a La Pira, a Quasimodo e Bufalino, alle bellezze della nostra terra, al turismo, all’immigrazione, agli investimenti, alle merci, alla sanità, alla metropolitana di superficie, al G7, all’Europa, alla mafia e a Matteo Messina Denaro, a Salvini e alle figure politiche d’opposizione, all’Amministrazione 5 stelle ragusana. In poco meno di un’ora Renzi tocca diversi punti, poi spiega i quesiti del referendum uno per uno.

Di fischi non ne sento più. Matteo Renzi è un gran comunicatore, ballonzola da una parte all’altra del palco, si vede che è abituato a stare davanti a migliaia di persone, è a suo agio. Il suo modo di parlare non annoia, interagisce con le persone del pubblico, spesso e volentieri fa delle battute che fanno sorridere i presenti e, credetemi, fa le imitazioni. Io ad un certo punto ho pensato che fosse un vero show man, è nato per stare sul palcoscenico. E la sua cadenza toscana, non raramente, mi faceva pensare a un misto fra Panariello e Benigni.
Le sue argomentazioni innegabilmente, anche grazie al suo modo di comunicare, riescono a convincere le persone. Parla di valori civili ed umani, di strategia dell’odio sulla quale niente si può costruire,  chiede di lottare per un futuro migliore per i nostri figli e di essere ottimisti.

E ci può anche stare Matteo, noi ci proviamo a essere ottimisti, davvero. Solo che a volte per tanta gente non è facile esserlo: forse è vero che questo referendum potrebbe farci entrare nel futuro, come dici tu,  ma la verità è che è complicato credere ancora a un sacco di parole appositamente scelte e espresse nella giusta maniera affinché qualcuno si lasci convincere.

A Ragusa in realtà sei stato fortunato perché sei atterrato su una sorta di terreno spianato, ma ti faccio i miei complimenti perché sei stato bravo anche a toccare quei punti che a noi ragusani, a noi siciliani stanno tanto a cuore. Hai capito che parlando di Quasimodo, barocco, autostrade e mafia iniziavi col piede giusto,  puntando dritto al cuore.

Però Matteo, quando sei andato via il professore di economia aziendale si è girato e mi ha detto: “A ruffiani siamo proprio messi bene!”. Ma intorno a me un sacco di altra gente ti applaudiva, scattava  selfie e ammetteva di essersi lasciata convincere.

Caro Matteo, io non so ancora cosa voterò al referendum, ho tempo fino al 4 dicembre per capirlo. Ieri non ci sono riuscita, però è stato divertente, sei un animale da palcoscenico tutto sommato. Ho capito anche che saper comunicare nella maniera giusta può consentirti di ottenere quello che vuoi nella vita. E poi ho capito che ieri pioveva e quindi tutti quelli che, sui social, parlavano di proteste e lanci di roba varia ed eventuale alla fine hanno preferito stare a casa. Anche queste persone, a modo loro, hanno comunicato qualcosa.

Articolo comparso il 16/11/2016 su Ragusa Corriere Quotidiano

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